Gli stereotipi di genere specificano come donne e uomini agiscono e come dovrebbero agire. Visto che gli stereotipi sono trasmessi e appresi fin dai primi anni di vita, diventano associazioni automatiche difficile da modificare. Per questa caratteristica di pervasività, influenzano fortemente la vita sociale fino ad arrivare all’autostereotipizzazione cioè alla modificazione della percezione del sé. Gli uomini stessi come le donne, sono portatori di stereotipi che li riguardano e spesso li limitano.
Il fenomeno degli stereotipi di genere può essere spiegato dai processi di socializzazione che interessano sia i bambini che le bambine dalla più tenera età ma prima di addentrarci in questo, penso sia necessario indagare il tema degli stereotipi e del loro funzionamento.

La mente umana è organizzata per creare immagini stereotipate della realtà. Gli stereotipi, infatti, sono immagini semplificate che incidono sulla visione del mondo di ogni persona che ne viene in contatto, influenzandone idee e comportamenti. Queste rappresentazioni mentali, queste idee che sono definite stereotipi, sono strutture di conoscenza che collegano determinate categorie sociali a specifiche caratteristiche. Il termine stereotipo deriva dalle parole greche stereos (duro, solido) e typos (impronta, immagine, modello) ed indica un modello resistente, difficile da cambiare e replicabile facilmente.
Quando si ragiona per categorie si tende a massimizzare le differenze tra categorie diverse e a minimizzare le differenze all’interno delle stesse, quindi gli stereotipi sono credenze relative alle differenze medie tra i gruppi e sopravvivono perché la nostra mente accetta che ci siano delle eccezioni alla regola generale o dei sottotipi dell’idea generale su quella categoria.
«La qualità “categorizzante” degli stereotipi e il loro essere una costruzione socialmente mediata determina una caratteristica propria di tale processualità, e cioè quella di difendere l’identità del gruppo all’interno del quale gli stessi sono stati costruiti attraverso il mantenimento del sistema psicosociale che li ha realizzati» [De Caroli M. E., Sagone E., 2010].
Gli stereotipi in questo senso sono il frutto del normale funzionamento della mente e servono per organizzare in modo sensato la realtà.
Lo studio degli stereotipi di genere non è recente, a consolidare l’idea che gli stereotipi di genere siano socialmente costruiti hanno contribuito studiosi come Walter Mischel e Albert Bandura, i quali hanno teorizzato, negli anni ’60, la Teoria dell’apprendimento sociale.
Mischel, dando importanza alle determinanti ambientali dello sviluppo del genere, indicava la precedenza dei comportamenti rispetto alla cognizione e, inoltre, riteneva che le numerose differenze individuali all’interno di ciascun genere suggeriscono che esistono diversi modi di essere maschio o femmina; questo dipende dal fatto che rinforzi auto-somministrati fungono da stabili incentivi per l’apprendimento e per il mantenimento dei pattern comportamentali. [De Caroli M. E., Sagone E., 2010]
Rispetto alla tematica dell’apprendimento sociale del genere, Bandura ha rilevato empiricamente che già a 4 anni i bambini scelgono di giocare con oggetti consoni al proprio genere e dall’uso di tali giocattoli si aspettano positive valutazioni personali. Secondo Bandura le concezioni stereotipiche legate al genere hanno effetti prolungati sul modo in cui gli individui percepiscono e elaborano le esperienze. Inoltre le stesse appaiono essere il risultato di un sistema di pratiche di socializzazione che si sostanziano nei colori, nella tipologia di abiti, giocattoli… le quali sono attive fin dalla nascita e sono finalizzate a differenziare nettamente i due generi. [De Caroli M. E., Sagone E., 2010]
Parlando di stereotipi di genere è necessario fare riferimento a Kohlberg [1996], psicologo americano, il quale, ha ritenuto che i cambiamenti espressi dai bambini nella comprensione del genere intervengono fortemente nella organizzazione di tutti gli altri aspetti del comportamento di genere e che, quindi, nello sviluppo infantile è centrale il processo di gender labelling.
«Quando un bambino si definisce come maschio o come femmine, inizia ad agire in maniera coerente con tale etichetta.» [De Caroli M. E., Sagone E., 2010]
Kohlberg ha proposto una teoria sulle fase di sviluppo di genere. La sua teoria propone una comprensione del modo in cui il bambino comprende il genere in fasi consecutive. Quando il bambino si muove attraverso le tappe la sua comprensione di genere diventa più complessa.
Le tre fasi della teoria di Kohlberg sullo sviluppo cognitivo di genere sono:
- Basic gender indentity. Il/la bambino/a sa che lui o lei è un maschio o una femmina, ma non riesce a rendersi conto che il genere è un attributo costante. Verso i due anni, comunque, i bambini riescono a rispondere correttamente alle domande relative al genere di appartenenza.
- Gender stability. Il bambino sa che il genere è stabile nel tempo. Un bambino in questa fase sa che i ragazzi cresceranno diventando uomini e che le ragazze cresceranno fino ad essere donne.
- Gender consistency. Il bambino sa che una persona ha un genere stabilito ed esso rimane tale indipendentemente dalle variazioni nelle attività, nell’aspetto, nella capigliatura ecc…
La Gender Schema Theory proposta da Sandra Bem, psicologa americana,può essere considerata una sorta di ampliamento delle idee di Kohlberg. La Gender Schema Theory propone il concetto che la tipizzazione del sesso derivi in larga misura dal processo schematico di genere, da una disponibilità generalizzata da parte del bambino di codificare e organizzare le informazioni in accordo con le definizioni che la cultura fa di mascolinità e femminilità.
Secondo Bem appena il bambino realizza una rudimentale identità di genere inizia a cercare ulteriori informazioni per costruire il proprio schema di genere. Lo schema di genere, come lo stereotipo, contribuisce a regolare il comportamento e a dare senso alla realtà. Gli schemi stereotipici non sono però copie del contesto ma sono costruzioni che il bambino fa attraverso complessi meccanismi di mediazione tra i contenuti appresi sul genere e le proprie idee.
A seguito di questa breve introduzione sul concetto di stereotipo e stereotipo di genere in particolare è facile comprendere come, per quanto lo stereotipo sia un meccanismo mentale dell’essere umano esso è fortemente influenzato culturalmente. Quindi ogni individuo viene influenzato da esso e tende a riprodurlo in modo pressoché identico se non avviene qualcosa che lo spinge a modificare il modo in cui lo riprodurrà.
Nella formazione degli stereotipi di genere giocano un ruolo fondamentale le agenzie di socializzazione che, nella nostra società, sono, sicuramente la famiglia, la scuola e i media.
Gli stereotipi di genere e la scelta dei giochi
Dalla metà dell’Ottocento in poi il giocattolo diventa soprattutto un prodotto del mercato e uno strumento educativo, prima gli oggetti utilizzati come giocattoli non era costruiti appositamente per i bambini. Attraverso la socializzazione gli individui si integrano nella società e si comportano in base ai modelli di comportamento socialmente approvati. In particolare i bambini attraverso i giochi destinati ai maschi e alle femmine acquisiscono modelli culturali, ruoli sessuali e capiscono quali sono le aspettative sociali in base al genere di appartenenza.
L’acquisto dei giocattoli è spesso mirato a favorire l’assunzione di comportamenti, associati ai maschi e alle femmine, che vengono richiesti all’interno di una particolare società o cultura [Ricchiardi P., Venera A. M.,]. Nelle attività ludiche i maschi sono incoraggiati a muoversi e stare all’aperto e le femmine a fare giochi più tranquilli, preferibilmente in luoghi chiusi o comunque più controllati.
E’ necessario considerare, quindi, i fattori di contesto che determinano gli orientamenti di gioco dei bambini: le scelte dei genitori, l’influenza dei media ecc … I giocattoli sono oggetti prodotti dagli adulti per indirizzare in modo più o meno consapevole le scelte delle nuove generazioni. Attraverso il gioco gli adulti propongono schemi di comportamento, d’utilizzazione degli spazi, di tempi e di relativi divieti.
La scelta dei giocattoli, come è stato già accennato può essere influenzata da diversi fattori, quello forse più pregnante in questo caso è rappresentato dalla pubblicità che grazie alle caratteristiche di pervasività, intrusività e ripetitività ha trovato nel bambino il consumatore più influenzabile, poiché ha meno difese degli adulti.
I bambini credono di scegliere ma in realtà la scelta non è loro, la comprensione dei messaggi pubblicitari, infatti, è deficitaria poiché è mancante la capacità critica; l’obiettivo dei media, naturalmente, è che rimanga sopita, poiché dei consumatori inconsapevoli sono maggiormente manovrabili. Importante ricordare che il ruolo dell’informazione pubblicitaria è esclusivamente quello di orientare al consumo di prodotti, ottenendo un risultato nella mente dei consumatori.
La pubblicità inoltre, considerando sempre il tema centrale della riproduzione degli stereotipi di genere, continua ad utilizzare valori e ruoli che forniscono continuamente un’idea stereotipata dei rapporti tra uomini e donne e dei ruoli più consoni al maschile e al femminile, cogliendo le stimolazioni già avvenute in famiglia e amplificandole.
Sarebbe utile, innanzitutto, che gli adulti fossero in grado di mediare i messaggi pubblicitari poiché per il bambino è fondamentale primariamente l’esigenza del giocare prima di quella di possedere un determinato giocattolo.
La preoccupazione relativa ai modelli femminili forniti alle nuove generazioni non è un tema recente, già Elena Gianini Belotti con il suo testo più famoso dal titolo Dalla parte delle bambine, poneva l’accetto sull’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile sin dalla prima infanzia. Facendo un’analisi approfondita delle differenze di genere nei giochi, nei gruppi che si creano a scuola e persino nella letteratura infantile, l’autrice è arrivata inevitabilmente a confermare il mito della “naturale” superiorità maschile contrapposta alla “naturale” inferiorità femminile. Già l’autrice rimarcava che: «Quando si dà una bambolina o un animale di gomma o di pezza a una bambina piccola, non ci si accontenta di offrirglielo semplicemente e di stare a vedere che cosa ne farà, ma le si mostra anche come si tiene in braccio e come si culla; questa dimostrazione di “cura parentale” non si dà al suo coetaneo maschio …» Elena Gianini Belotti con questa frase ha mostrato solo uno dei tanti modi in cui avviene la socializzazione al genere che viene fatta attraverso il gioco, addestrando, in questo caso, le bambine alla futura funzione materna.

Strategie e interventi preventivi
Elena Gianini Belotti sottolineava: “L’operazione da compiere, che ci riguarda tutti […] è di restituire ad ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene” e non posso che essere d’accordo.
La maggiore sensibilità su queste tematiche sta mettendo in luce quanto questo “addestramento” alle ideali funzioni future sia innaturale e forzato e per questo una parte delle nuove generazioni di bambini e bambine ha una maggiore possibilità di scelta dei giochi e delle esperienze, ma il lavoro educativo che spetta agli adulti di riferimento non si può fermare qui.
Deve essere costante l’impegno nel tracciare percorsi educativi innovativi attraverso cui:
- affrontare gli stereotipi discriminatori veicolati dai giornali, dalle trasmissioni televisive, dalla rete, che propongono immagini irrealistiche e modelli di maschile e femminile seriali e tradizionali a tal punto da non seguire il cambiamento della società;
- decostruire gli stereotipi di genere che limitano le possibilità di realizzazione di ognuno e sviluppare capacità critica per avere una visione del mondo maggiormente articolata;
- individuare sentieri di co-costruzione di una nuova realtà paritaria nella quale uomini e donne potranno istaurare dialoghi costruttivi e valorizzanti delle specificità di ognuno, anche aldilà del genere di appartenenza;
- sostenere e valorizzare la creatività, l’emotività, le aspirazioni di ognuno, e le differenze, che non devono essere cancellate ma accettate come naturali inclinazioni.
E voi nel vostro quotidiano e nella vostra pratica lavorativa, cosa fate per abbattere gli stereotipi di genere?
Una risposta su “Gli Stereotipi di Genere”
[…] per me è inaccettabile. Il motivo è naturalmente da ricercarsi in quelli che sono gli stereotipi di genere ma anche nei tabù legati alla sessualità che possono essere scardinati con un buon lavoro […]
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