Break Educators

Non solo Educatrici Professionali

Priscilla Vampo

Sono sincera, non pensavo che avrei fatto l’educatrice. Era un ruolo che non conoscevo e che non avevo mai incontrato nel corso della mia vita, perciò avevo alimentato altri desideri, ambito ad altre professioni. Queste però erano tutte accomunate dallo stesso fattore: le persone.

Da adolescente non mi sentivo brava in nessuna materia perciò iniziò ad essere difficile farmi un’idea del mio futuro, mi sentivo competente in altri contesti che non venivano valutati: ero introspettiva, sapevo relazionarmi, entrare in empatia, ascoltare… insomma mi sentivo di avere un’attitudine umana.

Scelsi dunque di seguire quella che mi portò al corso di educatore professionale. Provai e non mi pentii. Furono anni di grande scoperta anche personale. Sentivo che il tema dell’educazione in qualche modo mi apparteneva, a pensarci è una questione così trasversale a tanti aspetti della vita di ciascuno che ci attraversa, prima da bambini poi da adolescenti fino all’età adulta, in diverse forme e ruoli.

Terminato il ciclo di studi, ero certa di aver conosciuto solo la punta dell’iceberg, c’era sete di sapere. Dopo alcuni anni di lavoro, ho compreso solo una certezza: questa sete non passa, ti segue ed è motivante.

Ho scelto di occuparmi di alcuni disturbi del neurosviluppo, iniziando dapprima a lavorare con i bambini autistici successivamente specializzandomi nei disturbi specifici dell’apprendimento, qualificandomi infine come tutor degli apprendimenti.

Il mio ruolo è quello di guidare i ragazzi in diversi ambiti scolastici, potenziando i loro punti di forza attraverso strategie specifiche e aiutandoli a prendere consapevolezza dei loro punti di debolezza. Il percorso per ciascuno è diverso ma per tutti porta ad un unico obiettivo: l’autonomia.

È un lavoro duro, impegnativo, che ti interroga costantemente proprio perché ti mette in contatto con l’Altro in diversi modi possibili anche profondi. Sembra faticoso e lo è ma anche il più piccolo passo volto a un cambiamento che osservi nell’Altro, ti fa capire che stai andando nella direzione giusta.

Valentina Pariani

In 3° superiore la mia professoressa di Scienze Sociali ci chiese che lavoro avremmo voluto fare da grandi.

Cerchiamo di intenderci, per molti quello che si chiamava Liceo delle Scienze Sociali, era il “liceo del non sapevo che altro fare, mi hanno chiesto di scegliere un percorso formativo a 12 anni!”

Ad ogni modo, io risposi che volevo fare l’educatrice.

Ricordo come se fosse ieri quel momento, ma soprattutto la risposta della prof. Donat Cattin “Fare l’educatore non è come si pensa, è un lavoro duro. Sei sicura di sapere cosa significhi?”

Non lo sapevo, ma ho imparato a capirlo in un percorso iniziato il primo giorno di università. Da lì in poi ci sono stati un susseguirsi di “L’educatore prende una miseria per tutte le responsabilità che ha”, l’immancabile “Ah ma ci vuole una laurea per lavorare con i disabili?” oppure durante i tirocini “Hai troppo entusiasmo, vedrai che con gli anni ti passerà”, per non parlare del “Praticamente è come maestra d’asilo”. Le risposte che dopo tutti questi anni mi sento di dare sono, andando in ordine: sì, sì, non è passato, no – è un altro lavoro.

Per fortuna l’entusiasmo non è passato, anzi, insieme all’ambizione mi ha permesso di laurearmi, lavorare fin da subito e specializzarmi nel trattamento del disturbo dello spettro autistico diventando un Tecnico del Comportamento Certificato.

Si è vero, è un lavoro duro, in parte misconosciuto e scontato. A ben pensarci tutti nella vita passiamo attraverso un processo educativo, per lo più inconsapevolmente (pensate a quel che fanno le madri e i padri tutti i giorni!) Questo – per me – cerca di fare l’educatore, tracciare percorsi nella vita altrui per generare cambiamento, ragionando senza sosta sul valore dell’educazione.

Elisa Emanuelli

Ho pensato spesso al motivo per cui ho scelto di fare questo lavoro e per molto tempo non ho saputo dare una risposta.

A scuola le discipline umanistiche sono state sempre nelle mie corde e ho sempre amato più parlare che studiare. Quando ho frequentato la scuola superiore ho subito capito che se ci fosse stata solo sociologia da studiare sarei stata sicuramente la prima della classe. Poi è arrivata la scelta dell’università, ero sicura, dopo le prime esperienze di volontariato, che sarei diventata un’educatrice, non avevo un piano B, non mi serviva.

Non dico di non aver avuto qualche ripensamento, quando le sfide di questo lavoro sono sembrate insormontabili, ma non mi pento della scelta.

Ho seguito una miriade di corsi di formazione post laurea perché mi sentivo affamata di conoscenze e ho fatto molte esperienze lavorative in diversi ambiti, ad oggi credo che il mondo dell’adolescenza sia quello da cui traggo le maggiori soddisfazioni.

Ma a prescindere dagli ambiti di lavoro quello che amo di più del mio lavoro è sicuramente stare accanto alle persone per rendere la mia presenza accessoria. E’ strano per qualsiasi altro lavoro, ma non penso ci sia nulla di meglio che accompagnare le persone nel loro percorso di vita e fare in modo che la tua presenza non sia più necessaria, perché possono farcela da sole.

Alla continua ricerca di soddisfazioni personali e professionali, mi sono appena trasferita in Germania, chissà cosa mi riserverà il futuro!


Vivere è aiutare gli altri a vivere

Raoul Follereau